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Francesco Tarantino, 19enne di Carapelle: “Negli ospedali divento un supereroe per far sorridere chi soffre”

Il giovane qualche mese fa ha visitato anche il reparto Pediatria dell’Ospedale Tatarella di Cerignola

Ci sono storie che fanno bene al cuore, per questo le raccontiamo con piacere. Quella di Francesco Tarantino, in particolare, è la dimostrazione concreta di come chi ha sofferto riesca a comprendere meglio la sofferenza altrui, e ad entrare in maggiore empatia con chi sta attraversando un periodo difficile. Francesco ha diciannove anni, è studente all'ultimo anno dell'istituto Commerciale, vive a Carapelle (Fg) ha un fratello di 25 anni.

Un ragazzo apparentemente come tanti, con tanti progetti e sogni da realizzare. Ma Francesco ha un passato di sofferenza che lo ha temprato, forgiato, rafforzato dentro e fuori.

"Avevo due giorni di vita quando ho dovuto subire il primo intervento all'Ospedale di Foggia, seguito-di lì a poco- da un secondo e poi da un terzo. Le cose però non si risolvevano, e così dopo sei mesi di cure che si erano dimostrate vane, mia madre decise di portarmi a Genova, presso l'Ospedale Gaslini, dove arrivai in condizioni ormai critiche. In questo ospedale fui sottoposto ad un altro intervento chirurgico, attraverso il quale-finalmente- i medici risalirono alla fonte dei miei problemi e giunsero ad una prima soluzione. E' stato riscontrato che io soffrivo di una patologia molto rara, che colpisce una persona su 5000. Si chiama Hirschsprung, ed è una malformazione congenita dell'intestino inferiore", racconta.

Cosa ricordi del periodo trascorso in ospedale e delle cure a cui hai dovuto sottoporti?

Per i primi sei anni della mia vita ho dovuto effettuare quotidianamente sonde rettali, anche più volte al giorno. Ancora oggi, che ho 19 anni, torno spesso al Gaslini per svolgere i controlli necessari. Il ricordo dei momenti di sofferenza resta impresso nella mente per sempre, ma serve a godere di quelli in cui si sta bene. Io mi ritengo un ragazzo miracolato, perché la mia mamma quando era a Foggia, sognò Padre Pio. Il Santo le disse di non preoccuparsi, perché io ce l'avrei fatta. E, se sono vivo, è grazia a mia mamma, alla volontà di Dio e all'impegno dei medici del Gaslini.

Quando hai deciso per la prima volta di entrare in un ospedale vestendo i panni di Spiderman, uno dei supereroi più amati dai bambini?

Era un pensiero che mi balenava spesso in mente, e l'ho messo in pratica circa due mesi fa. Ho cominciato prima andando nei centri commerciali e nelle scuole dell'infanzia. Poi ho deciso di contattare direttamente gli ospedali partendo proprio dal "Tatarella" di Cerignola. E' stata una bellissima esperienza. A breve andrò in un ospedale a Bari e, verso Aprile o Maggio, andrò al Gaslini di Genova, dove io stesso sono stato operato e salvato.

Il supereroe rappresenta metaforicamente la possibilità di sconfiggere la malattia. Ogni bimbo in ospedale lo è, perché lotta per la propria vita. Perché hai scelto proprio Spiderman?

La mia scelta è ricaduta su Spiderman perché credo che per i bambini, rispetto ad altri eroi, sia più facile identificarsi con Peter Parker, alle prese con i suoi problemi adolescenziale come la scuola, i bulli, la famiglia. Anche il fatto che Spiderman indossi una maschera che gli copre totalmente il viso aiuta molto l'identificazione con il personaggio. E poi Spiderman è sempre stato caratterizzato dal fatto di essere un eroe spiritoso, ironico, che combatte il Male facendo battutine e prendendo in giro gli avversari. Il suo umorismo piace molto ai bambini, e non solo a loro.

Come ti vedi tra venti anni? Cosa ti piacerebbe fare o diventare?

Vorrei continuare a fare questo: portare un sorriso a coloro che vivono una situazione di sofferenza. Quando faccio visita ai bambini in ospedale, leggo nei loro occhi il dolore, e per me che l'ho provato è come una spina nel fianco. Sono felice di riuscire a vedere che, mentre passo il tempo con loro, quell'ombra che offusca i loro sguardo cede piano piano e lascia il posto ad un bellissimo sorriso.

Cosa ti senti di dire a coloro che giudicano questa generazione superficiale e vuota, priva di ideali e progetti di vita?

Chi non ha provato sulla propria pelle il dolore fisico e la sofferenza non riesce a capire cosa vuol dire. E' facile giudicare, bisogna passarci dentro. Ai giovani che si drogano, che bullizzano i compagni o compiono atti violenti, io dico soltanto di fermarsi un attimo a pensare a chi soffre, a chi guarda il mondo da una corsia di ospedale. Forse la loro vita cambierebbe, chissà.
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