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«Il nostro lavoro non è un gioco». La protesta "bianca" anti restrizioni di estetisti e parrucchieri pugliesi

Nel 2020 il settore ha perso quasi 2 miliardi di euro. Abusivismo e pandemia rischiano di far capitolare un indotto che dà lavoro a quasi 10mila aziende

Domani in tutta la Puglia manifestazione "bianca" delle imprese del benessere aderenti a Confartigianato. Dalle 9 alle 13, acconciatori ed estetisti pugliesi alzeranno le saracinesche dei propri saloni e apriranno le porte dei propri studi ma non per lavorare ma per protestare e gridare il proprio disagio con lo slogan: «il nostro lavoro non è un gioco». In conformità alle regole della zona rossa, ovviamente, non verrà accolta la clientela. Il riferimento è alle restrizioni, particolarmente prolungate nella nostra regione, che hanno messo in ginocchio un settore che in Puglia conta circa 10mila imprese, in larghissima prevalenza artigiane.

Secondo il Centro Studi di Confartigianato Puglia, sono esattamente 9.664 le aziende attive del comparto tra «servizi dei parrucchieri e di altri trattamenti estetici» (con codice Ateco 96.02.00), «saloni di barbiere e parrucchiere» (Ateco 96.02.01), attività legate ai «servizi degli istituti di bellezza» (Ateco 96.02.02), imprese si occupano di «servizi di manicure e pedicure» (Ateco 96.02.03). In base alle province, 2.931 operano in provincia di Bari; 1.079 in quella di Barletta-Andria-Trani; 1.003 in quella di Brindisi; 1.249 in quella di Foggia; 2.155 in quella di Lecce; 1.247 in quella di Taranto. La perdurante chiusura delle attività del benessere ha determinato, nel solo 2020, una perdita di ricavi per oltre due miliardi di euro (per la precisione, 2.104 milioni di euro). Non è tutto: sulla base dei dati dell'Istat, si stima nei servizi alla persona un tasso di lavoro indipendente irregolare del 28 per cento. La chiusura di acconciatori e centri di estetica nelle aree rosse apre quindi sterminati spazi di domanda per un'offerta irregolare caratterizzata da un esercito di abusivi. Uno stato di cose che rischia di consolidarsi nell'immediato futuro, considerate le difficoltà economiche delle attività regolari.

«Abbiamo deciso di manifestare per incanalare ed esprimere un disagio ormai fortissimo all'interno del comparto», commenta Silvia Palattella, presidentessa degli acconciatori di Confartigianato Puglia. «I dati parlano chiaro: saloni di acconciatura, barberie e centri estetici non hanno alcun impatto rispetto alla crescita del contagio. Sebbene nei fatti siano le più sicure, nostre attività sono ritenute "pericolose" a prescindere e per questo siamo costretti ad abbassare la saracinesca. A fronte dei nostri continui sacrifici, però, non soltanto i ristori stanziati sono irrisori, ma anche i controlli sono del tutto inadeguati. Sappiamo tutti cosa accade nelle nostre città ogni giorno, con strade piene di gente e pochissimi presìdi: che senso ha chiudere le imprese quando invece, nei confronti della cittadinanza vige il 'liberi tutti'? Non possiamo tribolare ogni settimana: anche in zona rossa le nostre attività sono più blindate che piazze, case e strade. Ora basta, non ne possiamo più: il nostro lavoro non è un gioco».

«La chiusura delle attività del comparto benessere è una vera e propria assurdità perché non soltanto è inutile ma addirittura dannosa in termini di controllo del contagio: ad andarci di mezzo non siamo solo noi imprenditori ma l'intera comunità», continua Raffaella Semeraro, presidentessa degli Estetisti di Confartigianato Puglia. «I nostri saloni e i nostri centri estetici sono le attività più sicure in assoluto poiché, già in tempi normali, sono tenute ad adottare protocolli igienici di livello sanitario. Con l'avvento del Covid abbiamo ulteriormente integrato le procedure interne per garantire la massima protezione nostra, dei nostri collaboratori e dei clienti. Per ogni professionista che chiude c'è un abusivo che si mette in moto operando a domicilio: questo sì è un rischio per la salute e amplifica la diffusione del virus, visto che per loro non valgono controlli né norme di sicurezza né, ovviamente, tasse e tributi. Insomma, oltre al danno, la beffa. Ecco perché chiediamo di poter tornare subito a lavorare: è una questione di sopravvivenza, di giustizia e anche di semplice buon senso».
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