Religioni
Omelia del Vescovo Mons. Fabio Ciollaro al Cimitero di Cerignola
In occasione della Commemorazione dei Defunti, ha sollecitato attenzione sui casi di suicidio
Cerignola - sabato 2 novembre 2024
15.17 Comunicato Stampa
"Ascoltiamo i nostri morti, parlano per il nostro bene. Ci vogliono sereni, ci vogliono in grazia di Dio, ci vogliono salvi. E così sia". Si conclude con queste parole l'omelia che il Vescovo della Diocesi Cerignola-Ascoli Satriano, Mons. Fabio Ciollaro, ha pronunciato questa mattina presso il Cimitero di Cerignola, in occasione della Santa Messa per la commemorazione dei defunti.
La riportiamo integralmente, in quanto riteniamo che il contenuto susciti una profonda riflessione in tutti coloro che ne verranno a conoscenza.
"…Senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno, e non un altro" (cf Gb 19,23-27). La voce di Giobbe si è levata nella prima Lettura di questa Messa. In un momento difficilissimo della sua vita; dopo che si erano abbattute su di lui una dopo l'altra una serie di sventure; in uno stato d'animo costernato; punto sul vivo dalla moglie; urtato dai facili giudizi di tre amici, incapaci di stargli veramente accanto; Giobbe vuole avere Dio come diretto interlocutore, sospira pensando al giorno in cui si troverà faccia a faccia davanti a Lui; e afferma la sua certezza "…Senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno, e non un altro".
Carissimi, la voce di Giobbe si è levata in mezzo a noi. È la voce della Sacra Scrittura che, in questa pagina e in altri punti dell'Antico e del Nuovo Testamento, ci insegna ciò che è essenziale sapere riguardo l'altra vita. Su questa base poggia la nostra fede nell'aldilà, fede che non è contraria alla ragione, tutt'altro! Noi crediamo che la morte non è la fine di tutto. L'anima si separa dal corpo ma resta viva. Dice Giobbe: "…senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso". In questo incontro avviene un giudizio, cioè un momento di verità completa su noi stessi e sulla sorte finale (paradiso o inferno) che abbiamo scelto giorno per giorno con il nostro libero arbitrio. Il paradiso è ciò che Dio desidera per noi. Il fallimento definitivo è la sorte di chi fino all'ultimo si impunta nel male. Noi crediamo che c'è una purificazione delle anime, chiamata "Purgatorio", ultimo dono di misericordia, per chi è veramente pentito dei propri peccati e si apre all'amore di Dio. Noi crediamo che possiamo aiutare i defunti nella loro purificazione, con la nostra preghiera e con le opere di carità, e sappiamo che quelle anime ricambiano il nostro amore e ci sono riconoscenti.
Con questa fede veniamo oggi al cimitero. Preghiamo per i nostri morti, preghiamo per "tutte" le anime del Purgatorio. Oggi, però, vorrei proporvi un'intenzione particolare, un'intenzione "difficile", sulla quale desidero dirvi una parola come vostro Vescovo, perché riguarda situazioni che in questi ultimi tempi appaiono purtroppo aumentate. Penso a coloro che, sopraffatti da pensieri negativi, sono arrivati a togliersi la vita. Quando vengo a sapere notizie di questo genere, resto sempre molto addolorato e compatisco profondamente i familiari desolati. A volte si tratta di persone adulte, a volte sono ancora giovani. A volte erano noti i problemi in cui si trovavano, a volte invece esternamente non lasciavano trasparire nulla; a volte erano persone con una vita ordinaria, altre volte erano persone in vista, forse invidiate per la loro posizione sociale, o molto stimate per le loro qualità, o ammirate per altri motivi. Poi giunge la notizia che raggela…. È accaduto quest'anno anche tra noi, oppure sono notizie che abbiamo appreso con dispiacere dalle cronache nazionali.
Cristianamente, non possiamo fare altro che affidarli alla divina misericordia. Cristianamente, possiamo solo sperare che nell'ultimo momento, prima di morire, abbiano avuto un attimo di lucidità per dire "che ho fatto?" e abbiano chiesto perdono al Signore. Per questo dobbiamo e vogliamo offrire anche per loro umili suffragi, cioè preghiere e opere di carità, per la purificazione e la pace delle loro anime.
Asteniamoci, invece, da ogni incauto e superficiale giudizio. Il giudizio dei morti appartiene solo a Dio. Solo Lui sa soppesare fino in fondo il bene e il male. Specialmente riguardo ai dolorosi casi di suicidio, è necessario distinguere l'errore dall'errante, la persona dal gesto che ha fatto. Perciò affidiamo anche queste anime all'immensa misericordia di Dio, ma non perdiamo la sensibilità morale. Il gesto, in se stesso, è brutto, è insano, direttamente contrario al quinto comandamento "Non uccidere". I comandamenti di Dio sono sempre per il nostro bene. "Non uccidere": vale nei riguardi degli altri e vale nei riguardi di noi stessi.
La vita è dono di Dio. Anche nelle condizioni più dure e avverse, è possibile farsi coraggio e andare avanti.
Poche settimane fa ci siamo commossi tutti per la forza d'animo e finanche l'allegria che ha saputo avere Sammy Basso, nonostante fosse affetto da una malattia degenerativa rarissima e impressionante. Abbiamo sentito le testimonianze dei suoi genitori e dei suoi amici sulla sua capacità di gustare la vita, sulla sua gioia, sulla sua fede. Abbiamo sentito con stupore ciò che lui stesso ha lasciato scritto nel suo bellissimo testamento spirituale.
Ricordiamoci, dunque, di questo esempio. Guardiamoci invece dall'influsso del tentatore. Il maligno, il nemico delle anime, spesso approfitta delle nostre debolezze. Nei momenti difficili soffia sul fuoco e ci suggerisce pensieri negativi. Non seguiamo mai quello che il serpente ci suggerisce, non diamogli corda, smascheriamo le sue tentazioni. Ascoltiamo la voce di Dio, ascoltiamo la voce dei nostri morti, che vogliono il nostro bene.
C'è una poesia di Giovanni Pascoli che si intitola proprio così "La voce". Racconta che diverse volte gli è sembrato di sentire la voce di sua madre, morta da tempo, chiamarla con un soffio: "Giovanni!". Ricorda in particolare un momento di scoraggiamento, quando era giovane. Orfano di padre e poi di madre, si era trovato ad affrontare la vita con i suoi pesi e le sue ingiustizie.
Una volta a Bologna, negli anni in cui era universitario, privo di "pane e di compassione", come scrive, cioè solo e povero, si era messo a camminare di notte arrivando sul muricciolo del fiume Reno. Si era fermato, guardando l'acqua che scorreva lì sotto, ed era stato tentato di farla finita: "la mia vita volevo lasciargliela lì". Ecco la tentazione. Ecco il sibilo pernicioso del serpente antico. Ma proprio in quel momento, egli dice: "Mi sentii d'un tratto d'accanto quel soffio di voce… Giovanni! No, no… piuttosto dì un requie per noi". Era la voce della madre. Si faceva sentire in quel momento di sconforto. Lo invitava a non compiere gesti sbagliati, ma a tornare alla fede e alla preghiera. Piuttosto dì un "eterno riposo", prega e abbi fede!"
La riportiamo integralmente, in quanto riteniamo che il contenuto susciti una profonda riflessione in tutti coloro che ne verranno a conoscenza.
"…Senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno, e non un altro" (cf Gb 19,23-27). La voce di Giobbe si è levata nella prima Lettura di questa Messa. In un momento difficilissimo della sua vita; dopo che si erano abbattute su di lui una dopo l'altra una serie di sventure; in uno stato d'animo costernato; punto sul vivo dalla moglie; urtato dai facili giudizi di tre amici, incapaci di stargli veramente accanto; Giobbe vuole avere Dio come diretto interlocutore, sospira pensando al giorno in cui si troverà faccia a faccia davanti a Lui; e afferma la sua certezza "…Senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno, e non un altro".
Carissimi, la voce di Giobbe si è levata in mezzo a noi. È la voce della Sacra Scrittura che, in questa pagina e in altri punti dell'Antico e del Nuovo Testamento, ci insegna ciò che è essenziale sapere riguardo l'altra vita. Su questa base poggia la nostra fede nell'aldilà, fede che non è contraria alla ragione, tutt'altro! Noi crediamo che la morte non è la fine di tutto. L'anima si separa dal corpo ma resta viva. Dice Giobbe: "…senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso". In questo incontro avviene un giudizio, cioè un momento di verità completa su noi stessi e sulla sorte finale (paradiso o inferno) che abbiamo scelto giorno per giorno con il nostro libero arbitrio. Il paradiso è ciò che Dio desidera per noi. Il fallimento definitivo è la sorte di chi fino all'ultimo si impunta nel male. Noi crediamo che c'è una purificazione delle anime, chiamata "Purgatorio", ultimo dono di misericordia, per chi è veramente pentito dei propri peccati e si apre all'amore di Dio. Noi crediamo che possiamo aiutare i defunti nella loro purificazione, con la nostra preghiera e con le opere di carità, e sappiamo che quelle anime ricambiano il nostro amore e ci sono riconoscenti.
Con questa fede veniamo oggi al cimitero. Preghiamo per i nostri morti, preghiamo per "tutte" le anime del Purgatorio. Oggi, però, vorrei proporvi un'intenzione particolare, un'intenzione "difficile", sulla quale desidero dirvi una parola come vostro Vescovo, perché riguarda situazioni che in questi ultimi tempi appaiono purtroppo aumentate. Penso a coloro che, sopraffatti da pensieri negativi, sono arrivati a togliersi la vita. Quando vengo a sapere notizie di questo genere, resto sempre molto addolorato e compatisco profondamente i familiari desolati. A volte si tratta di persone adulte, a volte sono ancora giovani. A volte erano noti i problemi in cui si trovavano, a volte invece esternamente non lasciavano trasparire nulla; a volte erano persone con una vita ordinaria, altre volte erano persone in vista, forse invidiate per la loro posizione sociale, o molto stimate per le loro qualità, o ammirate per altri motivi. Poi giunge la notizia che raggela…. È accaduto quest'anno anche tra noi, oppure sono notizie che abbiamo appreso con dispiacere dalle cronache nazionali.
Cristianamente, non possiamo fare altro che affidarli alla divina misericordia. Cristianamente, possiamo solo sperare che nell'ultimo momento, prima di morire, abbiano avuto un attimo di lucidità per dire "che ho fatto?" e abbiano chiesto perdono al Signore. Per questo dobbiamo e vogliamo offrire anche per loro umili suffragi, cioè preghiere e opere di carità, per la purificazione e la pace delle loro anime.
Asteniamoci, invece, da ogni incauto e superficiale giudizio. Il giudizio dei morti appartiene solo a Dio. Solo Lui sa soppesare fino in fondo il bene e il male. Specialmente riguardo ai dolorosi casi di suicidio, è necessario distinguere l'errore dall'errante, la persona dal gesto che ha fatto. Perciò affidiamo anche queste anime all'immensa misericordia di Dio, ma non perdiamo la sensibilità morale. Il gesto, in se stesso, è brutto, è insano, direttamente contrario al quinto comandamento "Non uccidere". I comandamenti di Dio sono sempre per il nostro bene. "Non uccidere": vale nei riguardi degli altri e vale nei riguardi di noi stessi.
La vita è dono di Dio. Anche nelle condizioni più dure e avverse, è possibile farsi coraggio e andare avanti.
Poche settimane fa ci siamo commossi tutti per la forza d'animo e finanche l'allegria che ha saputo avere Sammy Basso, nonostante fosse affetto da una malattia degenerativa rarissima e impressionante. Abbiamo sentito le testimonianze dei suoi genitori e dei suoi amici sulla sua capacità di gustare la vita, sulla sua gioia, sulla sua fede. Abbiamo sentito con stupore ciò che lui stesso ha lasciato scritto nel suo bellissimo testamento spirituale.
Ricordiamoci, dunque, di questo esempio. Guardiamoci invece dall'influsso del tentatore. Il maligno, il nemico delle anime, spesso approfitta delle nostre debolezze. Nei momenti difficili soffia sul fuoco e ci suggerisce pensieri negativi. Non seguiamo mai quello che il serpente ci suggerisce, non diamogli corda, smascheriamo le sue tentazioni. Ascoltiamo la voce di Dio, ascoltiamo la voce dei nostri morti, che vogliono il nostro bene.
C'è una poesia di Giovanni Pascoli che si intitola proprio così "La voce". Racconta che diverse volte gli è sembrato di sentire la voce di sua madre, morta da tempo, chiamarla con un soffio: "Giovanni!". Ricorda in particolare un momento di scoraggiamento, quando era giovane. Orfano di padre e poi di madre, si era trovato ad affrontare la vita con i suoi pesi e le sue ingiustizie.
Una volta a Bologna, negli anni in cui era universitario, privo di "pane e di compassione", come scrive, cioè solo e povero, si era messo a camminare di notte arrivando sul muricciolo del fiume Reno. Si era fermato, guardando l'acqua che scorreva lì sotto, ed era stato tentato di farla finita: "la mia vita volevo lasciargliela lì". Ecco la tentazione. Ecco il sibilo pernicioso del serpente antico. Ma proprio in quel momento, egli dice: "Mi sentii d'un tratto d'accanto quel soffio di voce… Giovanni! No, no… piuttosto dì un requie per noi". Era la voce della madre. Si faceva sentire in quel momento di sconforto. Lo invitava a non compiere gesti sbagliati, ma a tornare alla fede e alla preghiera. Piuttosto dì un "eterno riposo", prega e abbi fede!"