Giuseppe Verdi. <span>Foto Daniela Musini</span>
Giuseppe Verdi. Foto Daniela Musini
#Coriandoli, curiosità, aneddoti e mirabilia

Giuseppe Verdi e i cipressi calvi della Virginia

Bagnati fradici e piuttosto sconvolti, raggiunsero abbracciati la dimora.

Villa Sant'Agata, nei pressi di Busseto, in quel di Parma, è la suggestiva dimora che Giuseppe Verdi scelse per andarvi ad abitare insieme alla sua amata seconda moglie Giuseppina Strepponi a partire dal 1851 fino alla sua morte, nel 1901 (anche se l' ultimissimo periodo di Vita lo trascorse al Grand Hotel et de Milan, nel capoluogo lombardo).
Qui, in questa enorme tenuta di 107 ettari, nella quiete silente della Natura, compose una ghirlanda di capolavori immortali: la magnifica trilogia ("Rigoletto", Il trovatore" e "La traviata"), "Un ballo in maschera", La forza del destino", Don Carlo", "Aida", "Otello", "Falstaff", il "Requiem".
Un luogo d'incantamenti ancor oggi, quasi intatto e permeato della presenza del Maestro, della sua fortissima e indomabile personalità, incastonato in un parco che rivela sorprese e meraviglie.

Ed è proprio di questo che oggi voglio parlarVi: del giardino della Villa verdiana di Sant'Agata.
Giardino che è uno scrigno di bellezze naturali, di piante rigogliose e curiose, esotiche ed imponenti, statue e arbusti rari: un vero angolo di Paradiso creato dal Maestro che, oltre ad essere il Genio indiscusso della Musica, era un botanico sopraffino, un agricoltore competente e pignolo (Debussy, quando andò a trovarlo, sgranò gli occhi vedendolo intento a piantar l'insalata) un valido architetto (anzi, "magut", alla lombarda, a designare il garzone del muratore) e "vinaiolo" esperto (la sua produzione di vini era eccellente).

S'alzava all'alba, Verdi (lo farà sempre fino a tardissima età), e guidando tra le nebbie della Bassa il calessino, percorreva lo splendido viale composto da ben 120 platani fino ai campi di sua proprietà a controllare il grano, il mais, la vigna. Accanto a sé, ritto in piedi a cassetta, un superbo gallo cui era affezionatissimo.
Poi tornava e lavorava con accanimento ai suoi spartiti. Per ritemprarsi, con accanto la fedele Giuseppina (un tempo acclamato soprano e ora paziente compagna di Vita), si abbandonava a lunghe passeggiate attraverso il parco, fra centinaia e centinaia di alberi, fra i quali pioppi giganti "come granatieri" (come li definì il suo librettista Arrigo Boito), salici piangenti e scarmigliati, tanto amati dal Maestro perché a quel biblico albero era appese le cetre d'Israele, così amati che a Desdemona della sua opera "Otello" affida proprio "la canzone del salice" ("Oh salce! Salce! Salce!"), siepi di dalie e di rose, l'esedra delle magnolie, la grotta artificiale, il piccolo cippo marmoreo dedicato all'amatissimo cane Lulù con l'epigrafe incisa "Alla memoria di un vero amico", una gigantesca sequoia, alcuni banani, 24 Hypericum perforatum (detta anche pianta scacciadiavoli), 12 piante di anemoni, 6 Pini Silani, 12 Prunus lusitanica (l'alloro del Portogallo), 12 Viburnum Tinus, decine e decine di azalee e di profumatissimi gelsomini e potrei continuare all'infinito.

Nella mia visita a questa dimora meravigliosa, rimasi incantata di fronte al laghetto artificiale posto al centro del parco che Verdi e la Strepponi solevano percorrere con una barchetta.
Una volta creato, andava "bordato" per circoscriverlo ed impedire che qualcuno, costeggiandolo, ci scivolasse dentro, ma il Maestro, che non voleva deturpare il paesaggio con muretti vari, si fece arrivare dalla Virginia (ovvero direttamente dagli States) una grande quantità di "taxodium disticum", meglio conosciuti come i "cipressi calvi" alberi dalle caratteristiche radici pneumofore che, invece di affondare nel terreno, si ergevano esterne e dritte, a formare una sorta di naturale barriera. Uno spettacolo!
Ebbene, quell'amato specchio d'acqua rischiò un giorno di divenire la loro tomba.
Accadde che mentre Giuseppina, aiutata da Verdi che le teneva la mano, si apprestava a bordo lago a scendere dalla barchetta, questa si capovolse ed entrambi caddero in acqua e andarono a fondo. Le ampie vesti della Strepponi si gonfiarono pericolosamente d'acqua e ne intralciavano i movimenti, complice anche il terrore di affogare che l'aveva ghermita (e come darle torto?).
Inoltre la barca capovolta si stava trasformando in un vero e proprio coperchio sepolcrale e solo la presenza di spirito di Verdi che con una risoluta spinta del braccio spostò l'imbarcazione dal loro capo, risalì in superficie cingendo la cintura della sua terrorizzata compagna, scongiurò il peggio.
Bagnati fradici e piuttosto sconvolti, raggiunsero abbracciati la dimora. Solo allora, rifocillati e con gli abiti asciutti, si abbandonarono ad una grassa risata di fronte al camino e con in mano un bel bicchiere di lambrusco.
Della cantina di casa Verdi, ça va sans dire!
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